I buchi neri di Sarajevo by Božidar Stanišić

I buchi neri di Sarajevo by Božidar Stanišić

autore:Božidar Stanišić [Stanišić, Božidar]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Božidar Stanišić; Paolo Rumiz; I buchi neri di Sarajevo; Bottega Errante Edizioni; Bosnia Erzegovina; Jugoslavia; Sarajevo; profughi; guerra; Ivo Andrić; partigiani; assedio;
editore: Bottega Errante Edizioni
pubblicato: 2019-07-08T16:00:00+00:00


San Dorligo della Valle, ottobre 1992

6 In italiano nel testo.

7 Isaia, 6,2.

8 Nella simbologia cristiana, la lettura del Vangelo dal lato settentrionale dell’altare rappresenta l’attività ecclesiastica di conversione dei non credenti.

Le scarpe per l’eternità

a Branko Primožič

1

È la pura verità: Bodo, un parente di mio padre che viveva a Sarajevo, aveva due donne. Zaga, la moglie legittima, ha creduto fino alla fine alle parole del marito: «Pepa è mia zia». Giustificava il fatto che Pepa fosse più giovane di lui di ben sette anni con la grande differenza di età tra lo zio più giovane e quello più anziano. E Pepa? Sapeva che Bodo era sposato e sapeva anche che la presentava alla moglie come propria zia.

Quando veniva da noi a Visoko, i miei genitori e mia nonna avevano ritegno a parlare con lui di questo argomento.

Se veniva affrontato, anche solo in senso generale, allora Bodo guardava mio padre negli occhi, lo prendeva per il braccio e diceva: «Siamo parenti... Quando eravamo piccoli, o beata infanzia, dividevamo il pane fra di noi... Tu mi conosci, io ti conosco... Se è così, allora sai bene quanto mi rattristi il fatto che il mondo sia pieno di persone sole, specialmente di donne sole. Non è forse vero che il mondo è più bello se c’è anche un’unica persona sola in meno?»

Da ogni parola di Bodo traspariva la certezza che quanto diceva fosse esatto, così da sembrare che lui della solitudine – e degli uomini e delle cose – sapesse tutto, dalla a alla zeta. Era come se leggesse in un libro. Un libro non scritto, ma comunque un libro.

«Se lo dici tu, allora è così. Forse...» rispondeva mio padre con tono conciliante.

Ma quando Bodo ripartiva per Sarajevo esprimeva un parere completamente diverso: «Hmm, Bodo... Se avesse incontrato un milione di donne sole, sarebbe vissuto con ognuna di esse e l’avrebbe consolata. La vita è così breve e i giorni sono pochi, troppo pochi per Bodo e il suo sanatorio!»

«Capisco che qualcuna come Zaga sia così credulona, che qualcuna come Pepa non possa stare senza un uomo e capisco che ci siano delle donne che si appiccicano con estrema facilità al primo venuto, ma proprio non riesco a capire come tutto ciò capiti a uno come lui, così brutto...» disse una volta mia madre.

«Bello, brutto. Ancora non è stato scritto un trattato di estetica che dia una risposta conclusiva a questo dilemma» rispose mio padre.

La verità era che Bodo era proprio brutto. Aveva gli occhi sporgenti, di un colore indefinito, ora verdognolo-azzurro, ora blu-brunastro; aveva il naso camuso; aveva il collo taurino, le mani corte che quando faceva il pugno sembravano delle pagnottelle; aveva le gambe storte. Assomigliava di più a un personaggio delle comiche, che non a un conquistatore di cuori femminili solitari. Ma aveva l’automobile, un maggiolino color ciliegia marcia, aveva due cani: un boxer e uno da caccia.

D’estate come d’inverno aveva sempre la frusta in mano e, a seconda di come la faceva schioccare, i cani sapevano che cosa volesse.



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